Durante gli anni settanta e ottanta il crescere dei costi economici e la diminuzione dei prezzi dei combustibili fossili resero gli impianti nucleari allora in costruzione economicamente meno interessanti.
La crisi del petrolio del 1973 ebbe un forte effetto sulle politiche energetiche: la Francia e il Giappone che usavano soprattutto petrolio per produrre energia elettrica investirono sul nucleare.
Oggi le centrali nucleari forniscono rispettivamente circa l'80% e il 30% di elettricità in queste nazioni. Tuttavia, ciò non le rende indipendenti dall'estero sia per il reperimento dell'uranio, sia per la stessa produzione elettrica: è tipico di ogni inverno che la Francia si veda costretta ad importare grandi quantità di energia elettrica dai paesi confinanti per sopperire alle proprie esigenze di picco, come avvenuto ad esempio nel dicembre 2009 quando è stato necessario importare una potenza pari a quella di 5-7 reattori a seconda delle giornate, anche a causa del contestuale fuori servizio di 11 reattori su 59 operanti.
L'opinione pubblica, in seguito a incidenti quali quello di Three Mile Island (USA) nel 1979 e il disastro di Chernobyl del 1986, ha dato vita negli ultimi venti anni del XX secolo ad alcuni movimenti che hanno influenzato la costruzione di nuovi impianti in molte nazioni.
In Irlanda, Nuova Zelanda e Polonia l'opposizione ha impedito lo sviluppo di programmi nucleari, mentre in Austria (1978) e Italia (1987 e 2011) un referendum ha bloccato l'utilizzo del nucleare. In Svezia(1980) un referendum ha interrotto un ulteriore sviluppo di questa
fonte energetica.
![]() |
Andamento storico dell'utilizzo di energia nucleare |